Le sovrapposizioni sono punti di congiunzione tra storie che sfiorandosi sembrano avere la possibilità di convergere, ma poi, con la stessa facilità con cui ci si sovrappone, ci si allontana; questo è ciò che circola nel sottosuolo della vicenda umana di Marco, ingegnere delle telecomunicazioni, impegnato in frequenti trasferte all’estero, protagonista de “Le sovrapposizioni”, un romanzo che ha a che fare col tempo: il tempo frettoloso e distratto dell’età giovanile, quello più consapevole e maturo, il tempo che si perde, il tempo interiore degli individui che non riescono mai a sincronizzarsi.

Il dialogo tra il tempo presente e il passato, tra i vivi e i morti, che è il dialogo interno alla letteratura, è il dialogo costante di questa narrazione.
Marco è un cinquantaseienne che si ritrova con la diagnosi di una grave malattia autoimmune e una quantità di occasioni perdute. La sua è stata una vita piena di incontri e sovrapposizioni, appunto, ma raggiunto un periodo di riposo forzato dovuto alla malattia, arriva anche il momento di fare i conti con una schiera di personaggi, soprattutto donne, che siano state amanti, amiche, semplici conoscenti, ma anche uomini, che reclamano il finale di un incontro, spesso appena abbozzato, avvenuto da qualche parte remota del mondo. E così si inizia a viaggiare: Egitto, Grecia, Galizia, Scozia, Francia, Portogallo, Emirati, Israele, Kazakistan, California, ma anche: Milano, Roma, le Dolomiti…
Ci sono diciotto scatole (e molte altre ancora da aprire) stipate in casa di Marco, sono scatole che contengono i reperti di altrettanti viaggi; perché lui ha la mania di conservare ricordi e di catalogare, la mania dell’accumulo di sedimenti del cuore, per citare un passaggio di “Nightwood” (Djuna Barnes), riportato nel capitolo dedicato a Ginevra, una poetessa con un disturbo depressivo, con cui il protagonista ha avuto una delle tante relazioni:
“L’amore diventa sedimento del cuore, del tutto analogo ai reperti di una tomba. Come in questa si può tracciare il posto preso dal corpo, dalle vesti, dagli utensili necessari all’altra vita, così nel cuore dell’amante si ritrova, come un’ombra indelebile, l’impronta di ciò che ama”.
Marco, giunto alla resa dei conti, decide di aprirle queste scatole, ma farlo significa tornare con la memoria a quei momenti, rivivere le storie, rincontrare le persone, interrogarsi sulle ragioni dei fallimenti. Riesaminare i ricordi significa rivivere un tempo vissuto distrattamente.
Di Marco s’intuisce una certa dose di curiosità, che però resta in superficie, e la naturale predisposizione ad
assecondare un nomadismo che nel suo caso diventa anche sentimentale, assieme a una buona dose di spirito d’avventura, intesa come naturale predisposizione ad accettare il caso, e a buttarvisi senza troppe mediazioni, in maniera istintiva; come allo stesso modo è capace di sfilarsi velocemente da ogni situazione.
I troppi sospesi pesano, perciò balena l’idea di tentare di riparare qualche torto, progettando un viaggio alla ricerca delle persone che ha incontrato e abbandonato, o da cui è stato lasciato. Il viaggio è in primis mentale, e scaturisce dall’imbattersi nei contenuti di ciascuna scatola; così a partire da raccoglitori, boccette di sabbia, biglietti, conti di ristorante, pezzi di roccia, souvenir, Marco rivede: Amira, Manuela, Maria, Isidore, Madelaine e molti altri.
Sullo sfondo c’è la storia che ha aperto la ferita più profonda, quella con Clara, ex moglie amata in una maniera talmente ottusa da non esser riuscito a capire nulla né del rapporto, né tantomeno sulle ragioni della rottura; questo è l’unico viaggio che sa di non poter riprendere. Sullo sfondo c’è anche la Storia, che plasma e condiziona le vite di tutti, perché è una storia di guerre, pandemie e globalizzazione, quella che riguarda il nostro presente.
Sulla messa in opera del viaggio resta il dubbio, che potrà essere soddisfatto solo addentrandosi tra le pagine del romanzo, a metà tra “La zia Giulia e lo scribacchino” e “Bosco di notte”, perchè composto da tanti romanzi, che è anche un viaggio in terre straniere, compiuto attraverso un accumularsi di suggestioni, suscitate da uno stile evocativo e ricco di dettagli, dialoghi impareggiabili e una grande capacità di creare atmosfere capaci di dragare il fondo dell’esperienza umana.

Di Muriel

Nata a Imola, dove forse (spero il più tardi possibile) morirò. Ho una laurea in storia dell'arte ma lavoro nel settore della formazione. Mi piace scrivere e leggere. Ho pubblicato La discarica degli acrobati sbadati (Giraldi 2011), Veduta di pianura con dame (Edizioni La meridiana 2015), Fermata al tramonto con cimitero (Augh! 2017); ho partecipato al romanzo collettivo Il libro delle vergini imprudenti (Navarra 2014); alcuni miei racconti sono apparsi in antologie e riviste, ho scritto due testi per il teatro. Ho un interesse speciale per le autrici e le loro personagge. Di recente ho scoperto di essere sia bibliomane sia bibliofila, abbinata che mi inserisce nel novero delle accumulatrici disordinate di libri e letture. Certe volte m’incuriosisce talmente tanto un’autrice che tendo a immedesimarmi nella sua storia tanto da volerla raccontare. Sarebbe difficile vivere senza le cose belle e inutili che (per me) sono: la letteratura, il cinema, il teatro e le arti visive. Con questo sito vorrei mettere ordine.