La Sibilla. Vita di Joyce Lussu di Silvia Ballestra

Come definire “La sibilla”, libro sulla vita di Joyce Lussu, scritto da Silvia Ballestra, uscito nel 2022 e entrato nella dozzina dello Strega 2023?
L’idea che mi son fatta è difficile da inquadrare: una biografia e neppure troppo romanzata (la vita di Joyce è già un romanzo), una scrittura documentata e attenta, che proviene dal cuore, dall’affetto di un’autrice che vuole, con generosità, rendere omaggio a una maestra che stima e ama profondamente; un ritratto intimo, pieno di un affetto lucido e ragionato, dove i sentimenti emergono dai fatti, dove non si sconfina quasi mai nel melodramma, tranne i pochi passaggi sulle ultime pagine che risultano però necessari e catartici.
Ballestra, Joyce Lussu, l’ha studiata, conosciuta e amata; ci si è immedesimata, l’ha introiettata e ha dovuto far passare del tempo prima di raccontarla. Si appende, per stessa ammissione dell’autrice nella postfazione del romanzo, che esce a distanza di anni dalla morte dell’autrice, il rapporto tra le due. C’è pure lei, Silvia Ballestra, a raccontarsi in relazione alla Sibilla, ma solo marginalmente e sulla base degli incontri avvenuti con Joyce, restando sempre un passo indietro, in punta di piedi, di fronte a Joyce e al suo carico di carisma, umanità, pensiero e avventura.
La vita di Joyce Lussu, oltre a essere avvincente, lambisce quasi per intero la storia Italiana del’900, di cui lei è attrice protagonista con tutti gli strumenti di cui dispone. Il suo sguardo: femminile e marginale, le consente di fare tutto quel che possono fare gli uomini e anche molto di più.
Discendente dalla quella stirpe di inglesi trasferitasi nelle Marche nell’800, Joyce Salvadori vien su in una famiglia aperta (il padre Guglielmo Salvadori è professore di sociologia, la madre Cynthia scrittrice), di classe benestante, ma che rompe per divergenza di vedute con le rispettive famiglie d’origine. È un ambiente stimolante, amorevole, quello in cui cresce. La sua infanzia è caratterizzata da una totale adesione alle idee, ai metodi educativi e da una totale assenza di conflitto nei confronti dei genitori; mentre lo scontro è con i nonni feudatari vecchio stampo, vicini alle idee fasciste. I genitori di Joyce si smarcano subito da quell’ambiente e iniziano a viaggiare per l’Europa sfuggendo dallo squadrismo che stava facendo irruzione nel paese. Il padre professore, per sfuggire al clima del terrore, accetta un incarico in Svizzera. Qui Joyce frequenta una scuola sperimentale improntata sul pacifismo. Grazie ai genitori, e ai frequenti viaggi, parla correttamente inglese, francese, tedesco. In quegli anni ha già iniziato a comporre poesie, che sottopone a Croce, amico di Willy. Col filosofo, che apprezza i suoi scritti, lei intratterrà negli anni un rapporto burrascoso e stimolante. Dopo la licenza ginnasiale Joyce si trasferisce a Heidelberg per frequentare filosofia, facoltà dalla quale si ritirerà dopo l’arrivo in città di Hitler. Con questo primo atto di ribellione finisce anche la prima fase della sua vita; perché quel che risulta è chiaro che Joyce, come questo libro, non è classificabile, lei non è una ma tante donne e non ha vissuto una vita ma molte vite.
Nel 1933 incontra Emilio Lussu a Ginevra, il punto comune è Giustizia e libertà il movimento antifascista a cui aderiscono i Salvadori e lui stesso, che è amico di famiglia. Ma c’è un primo matrimonio nel ’34, nella vita di Joyce, di cui restano pochissime tracce. Si tratta di Aldo Belluigi un proprietario terriero (amico del fratello Max) con cui va a vivere in Africa, ma quasi subito si rende conto di aver fatto uno sbaglio e il matrimonio viene annullato. Quando lei torna in Europa e sbarca a Marsiglia lì c’è Emilio: è amore a prima vista e così inizia la loro avventura, quella narrata in “Fronti e frontiere” che li porta a viaggiare da clandestini per l’Europa occupata dai nazisti. Questa è la terza vita. Con Emilio costituirà una coppia solida e basata su progetti comuni. Si sposteranno a Roma, subito dopo la liberazione, lei è incinta e le pratiche vengono sbrigate in fretta affinché il padre possa riconoscere il figlio.
Poi ci sono gli anni della ricostruzione, il dopoguerra e un’altra vita per Joyce, vanno a vivere prima in Sardegna poi a Roma, lei pubblica i primi romanzi. Lussu diventa un uomo politico importante, viene eletto in Parlamento, ma lei non vuol essere solo la moglie del ministro e così intraprende un’attività politica fatta dal basso, nei movimenti: per le donne e per la pace, poi successivamente inizia a interessarsi alle politiche post coloniali e a tradurre poeti come Nazim Hikmet e Agostinho Neto, a cui seguirà l’impegno nel tribunale Russel e molto altro.
Nel ’75 muore Emilio e per lei si apre un’altra vita ancora, che parte con la tristezza. Torna a vivere nelle Marche, fa ricerche sulla sibilla appenninica, figura femminile attaccata alla terra, di cui però lascerà un’interpretazione originale rispetto alla maga della leggenda, ne parlerà come di una donna saggia pacifica e attenta all’ambiente, non una che incanta e seduce, ma costruisce.
“Essere donna l’ho sempre considerato un fatto positivo, un vantaggio, una sfida gioiosa e aggressiva. Qualcuno dice che le donne sono inferiori agli uomini, che non possono fare questo o quello? Ah sì? Vi faccio vedere io! Che cosa c’è da invidiare agli uomini? Tutto quello che fanno, lo posso fare anche io. E in più, so fare anche un figlio!”. Questa è Joyce ci racconta Silvia Ballestra dalle ultime pagine di libro che è anche un tributo a questa grande figura.

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