Il tempo e la Storia per Jenny Erpenbeck

“Storia della bambina che volle fermare il tempo” è una favola nera che parla di identità, di stare nel corpo e nel mondo del dolore, del tempo, della libertà e dei vincoli dell’essere, ma è anche una favola politica per quel riferimento a Puntilla di Brecht (continuamente richiamato nell’opera dell’autrice).
La storia della Germania trapela: il prima, l’orrore, il dopo, l’oblio necessario per sopportare. La bambina ha perso la memoria, viene trovata con un secchiello in mano e portata in orfanatrofio, là diventa una presenza dapprima sgradita, dileggiata, offesa, ma anche sfruttata e talvolta accettata o per lo meno integrata, ma mentre lei non fa nulla, in ogni caso, nulla per imparare, nulla per integrarsi, nulla per crescere, sono gli altri a darle di volta in volta diverse connotazioni. Lei è senza dubbio una presenza inquietante e mostruosa. Il suo corpo è il più grande di tutti. Ha le sembianze di una bambinona che nessuno potrà mai amare, su questo punto non sembrano esserci dubbi. La bambina non fa nulla, ma fa di tutto per restare ferma. Non partecipa, non dice, sembra attirare solamente le umiliazioni. La malattia sembra in lei l’unica forma di vita. Infatti dopo varie malattie, l’ultima di queste la porta in un ospedale in città dove, dopo una dieta, assume le sembianze di una donna di trent’anni. A quel punto inizia a piangere perché si sente smascherata, le viene a far visita una signora che dice di essere sua madre ma che lei non riconosce.
La favola racconta del desiderio di restare bambini, senza alcuna responsabilità, lontano dagli affanni dell’età adulta.
La prosa di Erpenbeck è tutta volta al presente e fatta di contingenze, di accadimenti piccoli. Minuscole epifanie si susseguono, una dietro l’altra, dettagli che accumulano una coscienza che è sempre piuttosto incosciente e legata ad accadimenti minimi, giocata sull’infinitamente piccolo, sui piccoli oscillamenti in uno sfondo più ampio. La sua è una prosa che ha molto di politico, per quello stare nel mondo in con una postura consapevole, non eludere i giudizi storici, affrontare le colpe e riconoscere le responsabilità. La bambina sembra quasi incarnare la società nel periodo della Germania nazista, che evita il pensiero critico, che non collega i fatti, che esegue senza protestare con efficienza corre verso la soluzione finale.
“Kairos” inizia con la morte di un uomo che presto si scopre essere il protagonista maschile e termina col crollo della DDR, nel mezzo c’è la storia d’amore e di sottomissione tra Katarina, da poco maggiorenne, e Hans attempato scrittore di trent’anni più vecchio. Kairos è il momento opportuno, quello che fa incontrare i due protagonisti, che scivolano immediatamente in una relazione che assume dapprima i toni della storia romantica, i cui i protagonisti vengono inquadrati all’interno dello sviluppo della loro passione, per poi assumere i toni dell’ossessione fino a sconfinare nella violenza.
Lui ha un passato da camicia nera e un presente come intellettuale socialista, inserito nell’apparato della DDR. I loro dialoghi riguardano spesso la storia del paese e il vissuto della generazione di Hans, che racconta la storia in presa diretta a Katarina che risponde con acume e intelligenza critica. Dapprima lui sembra stimarla ma pian piano la relazione si sbilancia a favore di Hans, lui diventa sempre più prepotente, lei sottomessa.
La storia dei due amanti procede al passo della storia di un paese in declino. La DDR e la sua architettura, lo stile di vita, i divieti, la rigidità delle regole, un’impalcatura che sembra tenere assieme tutto e poi deflagra, così come questa storia che inizialmente prende le forme di una passione romantica totalizzante, in cui entrambi si ritrovano e si riconoscono, per poi passare alle recriminazioni, alle violenze e a una certa forma di sadismo che deflagra man mano che ci si avvicina storicamente alla caduta del muro.
La trasgressione è uno dei temi. I due protagonisti sopravvivono in un contesto fatto di divieti e di spie consumando la loro relazione clandestina. Lei assapora una breve fuga all’ovest come una boccata d’aria, ma quel che capita dopo, il crollo e il nuovo assetto, non assomiglia per niente alla libertà immaginata. La loro relazione clandestina partita come una trasgressione, sfocia in un rapporto esclusivo pseudo coniugale dove interviene la crudeltà di lui nei confronti di una breve relazione che ha Katarina nel frattempo a farla sentire di nuovo trasgressiva e a mantenere quella condizione, in parte, desiderata.
Il tempo che scorre è coprotagonista assieme ai due, se ne trova evidenza nello stile, tutto giocato su piccoli fatti e sui dialoghi intorno alla Storia e alla loro relazione, dove il tempo privato e quello della Storia corrono assieme verso il precipizio. Lo stile è preciso, raffinato, richiama un flusso che si rifà volutamente a Virginia Woolf. Il tempo non è un unicum ma è un insieme di tempi. Quello che conta è il tempo degli amanti che per un certo periodo si trovano in una bolla che esclude sia la storia, sia la moglie di Hans, come la famiglia di Katarina. Solo gli amanti esistono e gravitano intorno alla tensione reciproca. L’essere portati irrimediabilmente all’attrazione significa far valere, all’interno di un rapporto, sia regole mutuate dai rapporti ufficiali e altre regole, quelle dell’attrazione, legate alla malattia e all’autodistruzione, la distruzione di un paese, di un’ideologia, di un sistema che sembrava funzionare sono talmente in sintonia con questo rapporto nocivo da funzionare naturalmente come controcampo.

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